Le conseguenze a lungo termine dell’aver subito atti di bullismo
Le conseguenze dell’aver subito atti di bullismo da bambini si portano dentro anche quando si è grandi. Si possono sentire sulla pelle, nella pancia ed in ogni dove della nostra testa e del nostro cuore.
Condizionano il nostro modo di essere, di leggere gli avvenimenti delle nostre vite, nella fiducia che riponiamo nell’altro, nel modo di amare e desiderare.
Francesca (nome di fantasia) mi ha donato la sua storia di donna che sente ancora oggi le conseguenze di quanto ha subito in infanzia.
Me la ha donata perché tante donne e uomini possano riconoscersi e trovare la forza per iniziare a ricucire le ferite ancora aperte. Perché gli adulti, genitori, educatori insegnanti possano comprendere quanto il fenomeno del bullismo sia “cosa seria” e debba essere riconosciuto fin dalle prime espressioni.
I bambini ed i ragazzi che hanno subito atti di bullismo non hanno responsabilità di quanto accaduto. Mai.
Ogni adulto ha un compito importante nella protezione di bambini e ragazzi: ri attribuire la responsabilità a chi agisce la violenza, evitando la colpevolizzazione di chi la ha subita, proteggere e prendersi cura delle ferite profonde inferte.
Adesso, da grandi possiamo prenderci cura delle ferite, prendere per mano il nostro bambino ferito e confortarlo forte.
Ecco la storia di Francesca, che ringraziamo per il coraggio e la generosità.
“Il mio primo ricordo del bullismo è dei miei 4 anni. Mi ero fatta la pipì addosso, e questo semplice fatto, così frequente nella scuola dell’infanzia, fu sufficiente per tirarmi addosso la cattiveria dei miei compagni. Ricordo ancora la vergogna che provai quando arrivò mia mamma, forse per cambiarmi, forse per portarmi a casa, ricordo solo la vergogna provata nei confronti dei compagni.
Poi, forse a 5 anni, durante la ricreazione venni rinchiusa in bagno. Mi chiedo ancora quanta cattiveria ci può essere in un bambino di quell’età per rinchiudere un altro, quanta mancanza di empatia, così presto, così di brutto.
Iniziai la primaria, e a quel punto ero già diventata il capro spiatorio per eccellenza, figuriamoci: ero brava studentessa, la “secchiona”! La primaria, quel momento in cui si formano le prime amicizie forti, in cui bisognerebbe solo divertirsi oltre a imparare a scrivere e fare di conto, fu per me un incubo: tutti i motivi erano buoni per farmi sentire inadeguata: i miei buoni voti, contrariamente, il fatto che non ero brava a fare sport, mi piacevano cose diverse: il weekend mi mandavano nella scuola di montagna e facevo anche una scuola di musica. Purtroppo, tutte quelle cose che so bene quanto i miei genitori abbiano scelto per me con amore, sono stati ottimi bersagli della cattiveria degli altri: avevano deciso che io ero rara, e come tale, motivo di diffidenza e forse anche di paura. La ricreazione era per me un momento ansiogeno, in cui gli amici si cercavano spontaneamente e io mi guardavo intorno, cercando appigli. Ricordo ancora quanto fosse doloroso venire scelta sempre per ultimo per i giochi di squadra, e quanto lo fosse chiedermi sempre chi sarebbe venuto alle mie feste di compleanno, e perché. In famiglia avevamo un albergo con una bella piscina, e festeggiare il mio compleanno là poteva sembrare una bellissima idea, eppure per alcuni è stato il perfetto motivo per “usarmi” per farsi una serata in piscina. E non parliamo nemmeno di quando qualcuno è venuto a sapere che mi piaceva un maschietto! Potrei stare qui a elencare tanti altri motivi che i miei aguzzini hanno puntualmente e ripetutamente usato per divertirsi prendendomi in giro, sempre molto pesantemente, ma forse vi basterà capire l’essenza di quel dolore quando, in una delle prime feste della nostra pre-adolescenza, uno di questi aguzzini mi invitò a ballare con lui e io gli chiesi, sottovoce: “ma sai chi sono?”. Era una festa, le luci erano soffuse e per me c’era la possibilità che se lui mi avesse vista bene, non avrebbe voluto ballare con me.
Quando arrivò il momento delle superiori, chiesi disperatamente ai miei di cambiarmi scuola. Non capirò mai come abbiano potuto dare priorità a quello che loro chiamavano “la qualità educativa” invece che non al mio stato d’animo. Forse mi convinsero di continuare perché all’inizio delle superiori entravano tanti studenti nuovi, praticamente duplicando la quantità originaria, tra i quali entrò anche una mia amica “di fuori”, un’amica che mi conosceva bene. Il primo paio d’anni sembrò portarmi sollievo: c’era un’altra più “secchiona” di me! Ricordo con tristezza quanto mi rallegrò questa cosa. Il gruppo non era migliorato nonostante il ricambio di persone, soltanto c’era un’altra persona “peggio di me” davanti agli occhi degli altri.
Verso i 15 anni la violenza nei miei confronti arrivò agli atti fisici: in un cambio d’aula dimenticai la mia agenda sotto il banco, e quando tornai la trovai completamente distrutta, coi fogli strappati con una furia inaudita. Ancora oggi non capisco come mai non solo la scuola, ma anche i miei genitori, non abbiano fatto niente. In quegli anni, si parla degli anni 90, non si parlava ancora di bullismo, ma si di discriminazione. Ricordo una pessima insegnante di “psicologia” che, con la pretesa di fare qualcosa di educativo, ci fece sedere in cerchio e far girare un foglio col nostro nome dove ciascuno poteva scrivere cosa pensava di noi e addirittura non firmare. Inutile cercare di darvi un’ idea dei danni che questa cosa creò in me, a maggior ragione quando tempo dopo la “mia” amica, da un giorno all’altro, decise di non parlarmi più senza darmi spiegazione. Dopo qualche tempo e soltanto grazie alla confessione di un’altra, venni a sapere che quest’”amica” aveva così deciso per quello che gli altri pensavano di lei per il fatto che frequentasse me.
Vi ho descritto soltanto alcune delle tante cose che ho sofferto e dei tanti motivi che i miei aguzzini hanno trovato come giustificazione ai loro aberranti atti, e sono qui che guardo incredula lo schermo, osservando il rosario di cicatrici che porto sulla pelle e nel cuore, e mi chiedo come, COME? nessuno abbia fatto niente, NESSUNO!
I miei mi portarono dallo psicologo a 15 anni, con tutta la buona intenzione del mondo, dicendo qualcosa tipo “ha problemi ad integrarsi”. Ma questo “lei ha dei problemi” non ha fatto che sentirmi ancora più inadeguata.
Finita la scuola, volevo solo andare via. Volevo ricominciare da capo, avere l’opportunità di prendere un foglio tutto bianco, tutto per me. Volevo solo dimenticare quegli anni che per tanti sono stati bellissimi, per me solo una tortura.
Oggi credo di essere stata soltanto la punta dell’iceberg di un intero sistema disfunzionale. Come tutti, avrò avuto i miei difetti. Ma il problema era che nessuno dava valore ai miei pregi, e nessuno dava torto a chi veramente l’aveva. Perché le cose che ho subito, NON sono “cose da bambini”. Sono vere e proprie cattiverie, è violenza inaudita, crudele, che lascia segnata a fuoco l’anima di chi la subisce, rovina un’infanzia e un’adolescenza, e lascia tracce per sempre.
Oggi giorno questo fenomeno ha pure un nome: bullismo. E già dare un nome a qualcosa permette di riconoscerla, di parlarne con più facilità, ed è per questo che vi dico: la violenza subita dalle vittime di bullismo NON è UNO SCHERZO. Distrugge l’autostima e mette le basi per una vita sociale molto difficile, per tutta la vita.
Poche volte si ha l’opportunità di riparare, anzi, forse non si ripara mai una ferita del genere, perché successa troppo presto, troppo profondo, troppo quando si è indifesi. Soltanto una volta, pochi anni fa, ho avuto l’occasione di riparlarne con una persona di cui ero stata vittima e di sentire queste parole così curative: “Scusami. Ho avuto torto, e me ne dispiaccio. Sono stata io a perdermi di tante cose.” Non vi inganniate: se va bene, si riesce a rammendare, a mettere delle toppe, ma un foglio pieno di buchi e grinze non torna mai ad essere un foglio in bianco.
Oggi ho 41 anni, quindi vi parlo di cose successe anche più di 30 anni fa. Nonostante un lunghissimo e profondo lavoro su me stessa e i tanti progressi fatti, i gruppi mi creano ancora ansia e me ne dispiaccio, perché a differenza di quando ero bambina, oggi sono io in primis molto consapevole di me stessa, e so tutto il bene e il bello che ho da donare agli altri. E’ molto difficile far comprendere a chi non mi conosce che quello che da fuori può sembrare distacco o arroganza in verità è soltanto un’ estrema timidezza, che nasconde ancora una vocina che si chiede: ma mi vorranno bene? e che nasconde tanta, tanta voglia di fare amicizia, di amare e di essere amata.“